Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
(Eugenio Montale, “Ossi di seppia”, Torino, Piero Gobetti editore, 1925)
Nato a Genova da una famiglia alto borghese, Eugenio Montale (1896–1981) è stato un poeta, scrittore, traduttore, giornalista, critico musicale, critico letterario e pittore italiano.
Tra i massimi poeti italiani del Novecento, i suoi scritti sono caratterizzati da una poetica del negativo, del “male di vivere”, e poi da una poetica dell’oggetto, in cui ci si concentra su oggetti e immagini nitide e ben definite, spesso provenienti dal ricordo, tanto da presentarsi come rivelazioni momentanee ed effimere.
Dalla poetica di Montale emerge una chiara propensione per le figure femminili, tanto da essere considerate delle vere e proprie muse moderne.
Negli evidenti riferimenti autobiografici dell’autore troviamo donne che hanno realmente fatto parte della sua vita, i cui nomi però vengono in alcuni casi celati.
Nel 1963 muore la moglie Drusilla – con cui è sepolto – e ciò dà avvio a una fase di ripresa, in cui il poeta affronta nuovi temi e sperimenta nuovi stili.
Viene arruolato e inviato al fronte nel 1917, durante la Prima guerra mondiale.
Nel 1925 prende subito le distanze dal fascismo sottoscrivendo il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” di Benedetto Croce. Il suo antifascismo ha una dimensione non tanto politica quanto culturale: esso si nutre di un disagio esistenziale e di un sentimento di malessere nei confronti della civiltà moderna tout court. Il suo è un antifascismo aristocratico e snobistico.
Dopo l’avvento della democrazia sceglie di non riconoscersi nei partiti di massa e nella società dei consumi.
Nel 1967 è stato nominato senatore a vita e nel 1975 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura.
Il suo archivio (insieme a volumi, disegni, arredi e opere d’arte) è conservato presso il Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia.
“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato” è una poesia scritta nel 1923 da Eugenio Montale.
Apre l’omonima sezione nell’opera “Ossi di seppia” (1925).
Celebre rimase il monito finale: l’unica verità che è data all’uomo è la coscienza dell’impossibilità di avere qualche certezza, ovvero una coscienza in negativo, in un mondo indecifrabile e inconoscibile.
L’autore sceglie di utilizzare i verbi al plurale, per sottolineare la condivisione di questa consapevolezza con l’intero genere umano.
Ma forse questo monito, questo spirito, ha un valore in particolare per gli italiani?
Forse ci interroga, oggi, sulle difficoltà dell’Italia nel comprendere e comunicare la propria identità?

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