1. È dominata dalla bandiera
Tutti i Paesi del mondo hanno una bandiera, questo non ci aiuta a spiccare.
Anche perché il Tricolore italiano è un simbolo nobile ma meno narrativo di altre bandiere; gli stessi italiani fanno fatica a comprendere e ricordare i significati sottostanti – al di là del vago “unità nazionale”.
2. Non valorizza correttamente l’Azzurro
Malgrado sia l’elemento più distintivo, viene spesso applicato come un blu qualsiasi, adottato da mille nazionali e club.
Non essendo codificato, non viene applicato come elemento di sistema e tutte le rappresentative nazionali ne fanno un utilizzo molto (troppo) variegato.
3. Soffre la mancanza di un’icona nazionale
Tra i Paesi più grandi, siamo quello con il pantheon simbolico più povero.
La presenza di un’icona permetterebbe di potenziare il sistema di identità visiva in termini di narratività, versatilità, distintività.
La storia del nostro Paese ha portato a questo, ma da nessuna parte è scritto che la storia vada subita e non determinata.
4. Utilizza schemi ripetitivi, ormai abusati nello sport e non solo
Tricolore + Azzurro + scrittina (“ITALIA” e/o qualche acronimo) + un pittogramma banale, in stile toilette.
Lo sport italiano, le imprese, i partiti politici, le associazioni.
Tutti così, con pochissime eccezioni.
Proviamo a potenziare l’immagine con qualche elemento più originale?
5. Il logo FIGC è poco originale e ha una pessima resa grafica del concept
Un logo calcistico a forma di pallone, wow.
Se magari sembrasse anche un pallone – e non, ad esempio, la stilizzazione di una bocca spalancata – sarebbe quasi accettabile.
Così proprio no.
6. Lo stemma della Nazionale non piace praticamente a nessuno
Alla presentazione, nel 2023, è seguito un coro di “no” molto decisi.
È stato definito cheap, irrispettoso, non necessario, sconnesso dallo stile italiano in termini di design e tipografia.
È difficile non concordare.
7. Contiene elementi superflui
Se c’è scritto “ITALIA” non serve aggiungere “FIGC”, e viceversa.
Se si utilizza una forma a scudo, perché non scegliere uno scudo semplice da riprodurre?
Se si opta per uno stile minimal, perché aggiungere linee che non hanno uno scopo preciso?
Si ricerca la semplicità, ma si finisce sempre ad adottare le soluzioni meno ottimali.
8. Non è all’altezza di icone del calcio come il tradizionale Scudetto della Serie A
Un simbolo semplice, riconoscibile, associato a tanti momenti di successo.
Una formula che ha mostrato di funzionare nei contesti più vari, tanto da essere imitata più e più volte.
Se si deve cambiare strada, bisogna mostrare di poterlo fare in meglio o – quantomeno – con un intento strategico.
9. Non è appropriata per il contesto e per il prestigio di una Nazionale
Non c’è solo il logo corporate che ricorda una bocca aperta, c’è anche lo stemma della rappresentativa che modifica le linee di contorno togliendo loro aura e potenza.
C’è una qualità generalmente bassa degli output prodotti a livello comunicativo e dell’immagine coordinata – anche qui con qualche sporadica eccezione.
10. Non racconta nessuna storia, né aiuta a farlo
Se l’interlocutore conosce la storia dell’azzurro Savoia e del Tricolore, bene, altrimenti non c’è nessun gancio narrativo all’interno del sistema di identità visiva che permetta di fare storytelling.
Peccato che la storia della bandiera e del colore nazionale sia ben poco nota ai più, e neanche troppo onorata dalle applicazioni grafiche.
Cosa capirebbe dell’Italia chi guardasse solo all’immagine della Nazionale e della Federazione?
11. Non è per nulla versatile
Essendo vincolata al colore e a specifiche applicazioni del colore, non avendo altri elementi grafici a cui appigliarsi, l’immagine deve irrigidirsi all’interno di schemi che lasciano poco spazio a creatività, innovazione, e racconto.
Se non lo si fa si rischia, come accade sempre più di frequente, di perdere del tutto la propria identità.
12. È succube della linea dettata dagli sponsor
Sarà un caso, ma il Tricolore negativizzato all’interno del logo e dello stemma ricorda tantissimo le three stripes di Adidas.
Sarà un caso, ma il blu intenso della Nazionale ricorda spesso il blu dei suoi sponsor.
È importante che ci sia coordinamento e senso di partnership, ma se questo accade a discapito della propria identità – ancora una volta – c’è qualcosa che non va.
13. Non valorizza le divise di rappresentanza
Principalmente per colpa delle scelte sconsiderate di Armani, che da ormai diverse edizioni dedica all’Italia forse troppo poca attenzione.
Le divise di rappresentanza della Nazionale calcistica sono diventate il perfetto esempio di applicazione poco versatile del logo, nonché di scimmiottamento dello stile italiano.
Purtroppo, non è un fenomeno legato solo al calcio: le tute della delegazione olimpica a Parigi 2024 dimostrano come quello dell’identità visiva sia un problema molto più ampio della singola disciplina – e del solo settore sportivo.
14. Non valorizza la maglia
Da troppo tempo la Nazionale non ha una divisa che risalta, per qualità e rappresentatività culturale, rispetto alle divise dei club o delle altre Nazionali.
Lo stemma non risalta, risulta anonimo come i loghi delle maglie fake.
La tipografia non ha alcun legame con l’illustre tradizione tipografica italiana.
I pattern sono utilizzati meno e con meno successo rispetto a altre squadre.
Il Tricolore è applicato in maniera banale, senza rispettare il codice colore della bandiera.
15. Non adotta un approccio di sistema
Dall’utilizzo sregolato delle quattro stelle dei Campioni del mondo all’assenza di divise dedicate alle rappresentative diverse dalla Nazionale A, il sistema visivo del “Club Italia” è disseminato di dimostrazioni del fatto che siamo ancora lontani da un vero ragionamento sistemico, in cui tutte le parti hanno uguale dignità e giocano un ruolo in maniera armonica.
Non basta definirsi “Club Italia” per diventare un sistema integrato.
16. Sembra rimasta indietro di qualche anno, sui social e soprattutto sul web
Il sito della Federazione sembra fermo al 2008, a livello di design e architettura.
I social delle Nazionali ripropongono ormai da anni gli stessi template, senza dar segno di voler adottare stili e strumenti innovativi.
17. Non è attrattiva per i giovani
Tutta la brand identity della Nazionale – non solo l’identità visiva – è costellata di segnali ben poco equivoci: i giovani (ragazzi, ragazze, bambini, bambine) non fanno parte del target principale della Nazionale e della Federazione.
L’immagine degli Azzurri parla in primis agli over50, ai politici, e forse agli Azzurri stessi.
Non sorprende, quindi, che allevare talenti e alimentare la passione dei giovani tifosi sia un’impresa sempre più difficile.
18. Non è coerente coi valori dichiarati (e con la cultura italiana)
I vertici della Federazione parlano di desiderio, emozioni straordinarie, appeal commerciale, passione gloriosa, tradizione che si unisce all’innovazione. E ancora di digitale, di coinvolgimento dei giovani, di sostenibilità, coinvolgimento del territorio. Di una Nazionale sempre più vicina all’efficacia di un club.
La realtà è ben lontana da queste dichiarazioni e – ancor peggio – sempre meno capace di rappresentare quello che l’Italia è come Paese, storia, cultura, anima, colori.
19. Non promuove l’innovazione
Dopo la sconfitta con la Svizzera a Euro 2024, il giornalista Angelo Carotenuto ha scritto: “Azzurro Tenebra è diventato un modo di dire, nei titoli ci sta benissimo. C’era la Svizzera, e allora? Il nome Italia da solo è un guscio senza polpa. Lo sport premia chi si aggiorna. Il calcio italiano si sente al di sopra dello studio e dell’analisi. È il regno dei conservatori. Chi si sforza di parlare la lingua dell’innovazione, passa per mezzo matto. Invece sopravvive chi si aggiorna.“
L’identità visiva della Nazionale non fa nulla per smentire tutto questo.
20. È associata a una crisi di risultati sportivi
Si potrebbe discutere molto dell’opportunità di avviare un processo di rebranding proprio mentre l’Italia sta vivendo un altro dramma sportivo – la mancata qualificazione al Mondiale 2022 in Qatar.
Ciò che è bene ricordare, però, è che – come direbbero gli anglosassoni – communication does *not* affect performance.
Until it does.

